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Parità di genere: da tema etico ad asset strategico

di Anna Benini, Partner yourHR

 

 

Sul tema della parità di genere c’è chi la sostiene a spada tratta  e chi non la sostiene per nulla. Indipendentemente dai punti di vista che accompagnano visioni del mondo diverse, è un dato di fatto che, al ritmo di progresso attuale, ci vorranno  99,5 anni per ottenere una piena parità di genere mentre per raggiungere la parità economica ne occorreranno 257. Questa è la conclusione del Global Gender Gap Report 2019 del World Economic Forum (WEF) pubblicato a dicembre. Il WEF monitora, dal 2006, quattro indicatori chiave: 1) partecipazione e opportunità economiche; 2) educazione; 3) salute e sopravvivenza; 4) potere politico. Il fine ultimo è quello di stabilire e alimentare un confronto tra gli Stati e le Regioni del mondo, in materia di uguaglianza di genere.

 

L’Italia, sull’equità di genere ha, purtroppo, un primato negativo: a livello mondiale si colloca al 76° Posto su 153 Paesi. Dal 2018 ha perso ben 6 posizioni e si posiziona quartultima a livello Europeo, seguita solo da Grecia, Malta e Cipro.

 

l principali problemi per l’Italia non riguardano né l’asse dell’istruzione (sappiamo che ci sono più donne che si laureano rispetto agli uomini), né quella della salute e sopravvivenza. Le debolezze sono tutte concentrate sul tasso di occupazione e sulla partecipazione alla vita attiva del Paese: la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile in Italia è di 19.6 punti rispetto ad una media europea di 11.4.

 

Ma se è vero che la parità di genere, come dimostrato da molti studi, ha un impatto fondamentale sulla prosperità delle economie e delle società di tutto il mondo e se è altrettanto vero che la piena occupazione femminile genera crescita e competitività – che si può tradurre in punti di PIL – perché, oggi, i dati italiani risultano stagnanti o addirittura in peggioramento?

 

Perché la maggior parte delle aziende fatica a promuovere azioni correttive che porterebbero i luoghi di lavoro ad essere più produttivi e garantirebbero risultati più duraturi nel tempo? 

 

Lo studio di Mc Kinsey e LeanIn pubblicato nel 2019 ha identificato l’esistenza di un “gradino rotto” (broken rung) che impedisce alle donne di progredire sul posto di lavoro. Non sarebbe  tanto l’accesso alle posizioni apicali la vera causa della sotto rappresentazione femminile sui luoghi di lavoro, quanto l’accesso al ruolo dirigenziale. Questo “collo di bottiglia”, presente in molte organizzazioni, porta con sé alcune conseguenze: difficoltà di accesso alla “C-suite”, minore esposizione ad esperienze professionalizzati, minori occasione di investimenti formativi mirati allo sviluppo di certe competenze chiave, come per esempio la leadership. Ma anche:  differenze salariali che hanno un effetto pervasivo nel tempo e generano una spirale viziosa per la donna, con effetti che si ripercuotono fino al momento della pensione; e poi una pipeline di talenti – per dirla in HRese – che “perde”, disperdendo risorse e talenti che fuoriescono dai percorsi di carriera diretti alle posizioni di potere. L’impatto è semplice, quanto drammatico: troppe poche donne vengono assunte o promosse in posizioni di senior management.

 

In aggiunta, l’epidemia di Covid-19 ha stravolto i luoghi di lavoro in modi che non potevano nemmeno essere immaginati e sta mettendo a dura prova la nostra economia e il modo di lavorare di tutti noi. Non è difficile disegnare il quadro in cui versa la forza lavoro. Milioni di professionisti, dentro e fuori le organizzazioni, stanno sperimentando livelli intollerabili di stress e ansia. E ancora una volta, le donne sono più vulnerabili agli effetti economici correlati al covid-19 a causa delle disparità di genere già esistenti, del lavoro di cura non retribuito di cui si fanno carico per la società e del fatto che operano nei settori più impattati da questa crisi, come, ad esempio, i servizi. 

 

E allora cosa fare? Come possono le aziende evitare di riportare indietro il gap di genere di anni? Come potranno evitare di perdere quel pool di talenti femminili che potrebbero essere in posizione di leadership nei prossimi anni?

 

  1. Offrire flessibilità per ricevere flessibilità. Riconoscere che stiamo vivendo un momento eccezionale di carico mentale e stress, in cui le persone – e in particolare le donne – faticano a definire un limite tra vita professionale e personale oltre ad essere sovraccaricate dalla necessità di cura. Diventa prioritario trovare modi nuovi per riconoscere tempo libero aggiuntivo per i propri dipendenti. Un’ulteriore azione, può consistere nel comunicare, in modo esplicito e proattivo, che la performance e la produttività non saranno misurate su quando, dove e come viene svolto il lavoro. Ovviamente l’uno o l’altro approccio possono essere applicati in sinergia, così come a fasce diverse di popolazione.  
  2. Ascoltare anche le emozioni. Creare una cultura di benessere psicologico in cui le persone si sentano libere di esprimere i propri stati emotivi e possano anche essere supportati con percorsi di counseling  psicologico ad hoc. Per un approfondimento, leggi qui 
  3. Minimizzare  i bias di genere impliciti, rendendoli espliciti attraverso azioni di formazione per tutti i dipendenti e comunicazioni quotidiane da parte del senior management. Bastano poche battute anche durante una video call per dare dei messaggi impliciti sbagliati, che però rimarranno per sempre nella mente di chi li ha ricevuti, “facendo cultura” nell’organizzazione.
  4. Implementare un welfare pensato per ognuno. Comprendere bene quali sono le specifiche esigenze  per ogni target di dipendente.  Non offrire benefit o servizi a  pioggia, ma fare un audit dei bisogni individuali. In particolare, soffermarsi sui caregiver informali e, attraverso un caring audit, definire quali siano i benefit di maggiore valore aggiunto per le donne che si caricano della maggiore parte del lavoro di cura non retribuito all’interno del nucleo familiare.
  5. Definire criteri trasparenti di promozione. Una politica di promozione efficace si concentra sul progresso dei dipendenti in base alle loro capacità e prestazioni. È importante determinare i criteri minimi per l’avanzamento e rendere i dipendenti consapevoli degli standard che devono soddisfare per ottenere le promozioni e pubblicare tutte le offerte di lavoro in modo che le opportunità di avanzamento siano aperte a tutti i candidati qualificati. Non da ultimo valutare tutti i/le dipendenti qualificati/e per una promozione nello stesso modo, possibilmente grazie a processi di assessment formali.
  6. Essere trasparenti circa l’equità retributiva tra uomo e donna. Le aziende pubbliche e private che occupano più di 100 dipendenti sono tenute a redigere, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, che include anche i dati salariali e che va inviato telematicamente al Ministero del Lavoro. Tale report offre tantissime informazioni utili per la presa di decisione in azienda. Inoltre, favorire processi di certificazione quale quello proposto da EqualSalary possono generare un beneficio nell’attrarre più professioniste in posizioni manageriali senior e nel posizionarsi come azienda sostenibile.
  7. Favorire l’accesso a network esterni, programmi di mentorship o sponsorship interni che consentano alle donne di sentirsi parte di un gruppo esterno e interno all’azienda e che consentano di potenziare le competenze e le skills necessarie per accedere a ruoli di leadership futuri. Le donne possono trarre ulteriore vantaggio dal lavorare in gruppi equilibrati dal punto di vista della diversità di genere.
  8. Definire policy e procedure per indirizzare le discriminazioni, le pari opportunità e le molestie suoi luoghi di lavoro. La creazione di una policy e di una linea etica dedicata sono delle misure preventive che possono essere efficaci, se inserite in una politica aziendale attenta in tutte le fasi di vita dell’organizzazione, a partire dal recruiting.
  9. Certificare la propria azienda sulla parità di genere. Il Winning Women Institute, ad esempio, ha l’obiettivo di rilevare gli indicatori chiave, relativi allo status delle pari opportunità nei contesti organizzativi e di rilasciare attestazioni alle aziende sulla Gender Equality. L’obiettivo di queste certificazioni non è solo quello di creare una cultura interna attenta all’inclusione,  ma di veicolare il messaggio che la parità di genere è una risorsa di business di cui parlare all’esterno.

 

Sono tante le azioni che si possono pensare per migliorare la situazione dell’occupazione femminile in Italia e tutti, uomini e donne insieme, possiamo avere un ruolo attivo per ridurre un gap che se colmato porterebbe benessere e ricchezza per tutti. 

 

 

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  • Posted by yourhr
  • On 20 Ottobre 2020
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