
L’orientamento professionale nelle organizzazioni: uno strumento di crescita
di Silvia Capurso, Partner yourHR
L’importanza di interventi consulenziali di orientamento professionale per le persone e nelle organizzazioni
“Caduto in un ignoto punto di questa terra
e pervaso dal più dolce smarrimento
ho perduto il senso di me stesso
la provenienza
la direzione
l’orientamento [… ]
Né passato né futuro
Liberato dalle catene del tempo
quasi volando
più non avverto il piede sul selciato.“
Aldo Palazzeschi
Le organizzazioni, con la “digital disruption”, l’avvento diffuso della tecnologia ed il cambiamento dei paradigmi culturali di riferimento (smart working, co-working, job sharing,…), hanno semplificato processi e attivato strumenti efficaci di automazione, ma hanno sperimentato, al contempo, una carenza in termini di definizione e chiara identificazione della direzione da prendere. Ed essendo le organizzazioni fatte di persone, sono proprie le persone a rendersi consapevoli di dover richiedere, a sé stesse e a chi le circonda, un orientamento professionale che le ricollochi su un percorso di crescita individuale ed aziendale. L’etimologia della parola orientamento dice già molto: “trovare le coordinate proprie e le coordinate di dove si desidera arrivare”, e quindi, soprattutto in termini professionali, per trovare queste coordinate, si deve capire e sapere dove si vuole arrivare: le prime competenze che vengono mappate in un percorso di orientamento professionale sono, in un contesto abilitante e formativo, la capacità di visione e la consapevolezza del proprio profilo e del ruolo (awareness). Il processo prosegue con la verifica di assenza di vincoli e pre-giudizi nella valutazione e autovalutazione, passando per un allargamento della propria area di comfort, per arrivare alla propria fotografia professionale, presente e futura.
A cosa serve l’orientamento professionale? “Le tre regole di lavoro: A. Einstein L’orientamento professionale serve, come persone e come organizzazioni, a: 1) Uscire dalla confusione dopo un cambiamento di mercato, di compagine societaria, di riorganizzazione interna, in un’ottica lean: “Nell’approccio Lean e nel nuovo contesto economico in cui si muovono oggi le aziende, deve cambiare l’approccio organizzativo, per permanere sul mercato e per crescere: non è più il vertice aziendale a decidere cosa fare, è il personale operativo che dice al vertice cosa gli serve per lavorare meglio. Dunque, per creare valore, per crescere, per migliorare, il vertice aziendale ha solo il compito di far sì che queste condizioni per lavorare meglio vengano messe in piedi.” 2) Ritrovare un posizionamento lavorativo in termini di competenze, potenziale, obiettivi, in coerenza con l’organizzazione nella quale si lavora, rispondendo all’esigenza di un approfondimento – formativo e consulenziale – individuale su alcune aree di criticità, al fine di valorizzare al meglio le proprie competenze, in termini di raggiungimento degli obiettivi professionali, attivazione efficace del network personale, acquisizione di un approccio mentale di personal branding qualificato e di pianificazione strategica professionale mirata 3) Trovare e riconoscere talenti e potenziali, utili per l’azienda, attraverso: a) La valorizzazione delle competenze tecniche b) Il consolidamento delle competenze relazionali, comunicative, organizzative, gestionali e sviluppo delle stesse c) L’acquisizione degli strumenti e delle metodologie di orientamento e di benessere professionale, da applicare poi quotidianamente al proprio lavoro d) Il consolidamento e applicazione – rinnovata – delle competenze e capacità già presenti nel bagaglio personale, formativo ed emozionale, quali, per esempio, la vendita consulenziale interna, la comunicazione efficace, il team building, la condivisione dei valori, la visione strategica, la motivazione, la leadership, la followership.
Come si svolge il processo di orientamento professionale? Un primo piano di lavoro di orientamento professionale prevede: a) un primo colloquio di assessment, con l’utilizzo di vari strumenti HR (Schema a 3 colonne, MultiSource Feedback, intervista strutturata e semi-strutturata, test, gaming,…) b) un percorso di coaching / assistenza / orientamento personalizzato (basato su colloqui, esercitazioni, micro-piani di lavoro, output pre-definiti e condivisi quali la definizione del profilo professionale, il bilancio delle competenze, il posizionamento organizzativo specifico, la mappatura della rete interna di relazioni positive e da migliorare,…) c) alcuni brevi percorsi formativi (generalmente sulle competenze trasversali – perché spesso carenti nelle organizzazioni e strategiche nel nuovo mercato digitale e del lavoro – quali comunicazione efficace, gestione del conflitto, gestione del fallimento, gestione innovativa delle risorse umane, vendita consulenziale e lead generation, leadership, capacità di fare networking) d) Un percorso mirato sui registri comunicativi e elementi della personalità (quali, per esempio, il Process Communication Model o il DISC, tenuti da coach certificati) e) un’azione di verifica e follow up, normalmente a distanza di 2-3 mesi (tramite griglie ed indicatori, con un approccio PDCA e di miglioramento continuo). Un piano di lavoro più completo ed approfondito prevede lo schema di assessment classico, che si compone di quattro elementi di base: 1) test psicologici 2) prova di gruppo 3) role play 4) colloquio individuale. I test sono generalmente di due tipi: di personalità e attitudinali. La prova di gruppo riguarda un compito che il gruppo di candidati viene chiamato a portare a termine insieme (risolvere un problema, raggiungere un obiettivo,…), con la valutazione degli osservatori. Il role play, di solito “giocato” tra due o tre persone, ciascuna delle quali ha un set d’istruzioni che descrivono lo scenario, il tipo di personaggio che il “role player” è chiamato a interpretare e quali sono gli obiettivi che persegue; lo scopo è osservare le dinamiche d’interazione tra gli individui. Il colloquio individuale serve infine a indagare elementi che non sono emersi nelle parti precedenti del colloquio: storia professionale, motivazioni, obiettivi di carriera, priorità di vita.”
Quali sono i vantaggi di interventi sull’orientamento professionale nelle aziende? Il processo di orientamento professionale, se applicato in maniera corretta e completa, porta alcuni vantaggi alle organizzazioni, quali: – in termini di output, una mappatura affidabile in azienda: 1) delle competenze presenti 2) del potenziale presente 3) dei profili professionali 4) delle posizioni organizzative – in termini strategici, fornisce gli elementi per decidere: 1) la riorganizzazione interna che metta le persone giuste al posto giusto, con particolare riferimento alle nuove esigenze del mercato attuale 2) l’adozione di modelli (non-modelli) organizzativi flessibili, adattabili, in costante aggiornamento 3) la condivisione con tutto il personale di un approccio mentale volto ed abituato al cambiamento continuo (approccio Change Management, flexible mindset,…) “Il genio altro non è che la capacità di osservare la realtà da prospettive non ordinarie. Mentre una persona intelligente, quando riesce a trovare un ago in un pagliaio, si ferma soddisfatta, il genio continua a cercare per trovarne un secondo, un terzo ed eventualmente un quarto.” Albert Einstein 4) l’introduzione di un sistema di Performance Management – in termini di relazione con il mercato, consente di: 1) ascoltare il mercato e rispondere in maniera flessibile e mirata, anticipando trend e cambiamenti (“attivare le antenne”) 2) lavorare con persone motivate, autonome, imprenditoriali 3) accelerare il processo di integrazione aziendale.
Una digressione (ma non troppo): il valore della curiosità nell’orientamento professionale “Non ho alcun talento particolare. Sono solo appassionatamente curioso.” “La cosa importante è non smettere mai di domandare. La curiosità ha il suo motivo di esistere. Non si può fare altro che restare stupiti quando si contemplano i misteri dell’eternità, della vita, della struttura meravigliosa della realtà. È sufficiente se si cerca di comprendere soltanto un poco di questo mistero tutti i giorni. Non perdere mai una sacra curiosità.” A. Einstein Nel voler avviare un percorso, nelle organizzazioni o a livello individuale, di orientamento professionale, il valore della curiosità é molto forte: è la spinta che fa dire “voglio conoscere di più” e, nello specifico, “voglio conoscere di più delle mie competenze, ma soprattutto del mio potenziale, dei miei desideri professionali, dei miei obiettivi lavorativi” oppure “voglio conoscere cosa sanno davvero fare i miei collaboratori”, “voglio sapere dove possiamo arrivare tutti insieme”, “voglio conoscere di più di questo nuovo mercato e di queste nuove competenze e profili professionali”… Ed il valore della curiosità si coniuga bene con il valore e la forza della volontà nell’orientamento professionale: C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà. A. Einstein Lo psicologo canadese Daniel Berlyne distingue 4 tipi di curiosità: 1) La curiosità percettiva: scatta quando i sensi percepiscono stimoli diversi dal solito 2) La curiosità specifica: viene generata dalla mancanza di un’informazione 3) La curiosità diversiva: rappresenta la ricerca di nuovi stimoli per scacciare la noia Queste prime 3 tipologie di curiosità si esauriscono in breve tempo, a differenza della 4) Curiosità epistemica: corrisponde al vero desiderio di sapere.(Non a caso, la Nasa ha battezzato Curiosity la nuova sonda per Marte) Quali sono dunque i vantaggi di riconoscere, stimolare e sviluppare la curiosità come competenza atipica nelle organizzazioni, attraverso il processo di orientamento professionale? La curiosità: a) Rappresenta un elemento-chiave della creatività, fondamentale nel nuovo modello di mercato (Google ha deciso di lasciare liberi i propri collaboratori per il 20% del loro tempo lavorativo per dedicarsi alla creatività) b) Introduce nelle organizzazioni le cd contaminazioni positive (cioè l’utilizzare idee e strumenti di discipline diverse come bagaglio culturale ed esperienziale dove attingere, come dimostra una recente ricerca dell’Università della California) c) Massimizza il valore degli interventi formativi nelle organizzazioni: una recente ricerca dimostra che, quando un soggetto prova curiosità, nel cervello si attiva l’ippocampo, la zona associata all’apprendimento d) Gestisce la paura delle cose che non si conoscono, dell’ignoto, del nuovo: la curiosità porta le persone ad indagare per saperne di più e quindi a ridimensionare il senso di incertezza. Infine, se è vero, in base ad alcuni studi (Università di Alberta, 2005), che la curiosità ha per il 40-50% un’origine genetica, per il resto è però determinata da altri fattori, in particolare dalle relazioni e dall’abitudine a porsi domande, formulando una o più ipotesi come risposte, elementi attivabili con percorsi consulenziali mirati di orientamento e formazione sulle persone.
E ora qual è il primo passo da fare? Cosa devono fare dunque le organizzazioni, le aziende, le PMI, per avviare questo processo virtuoso? 1) Effettuare una valutazione interna, chiedendo ai propri collaboratori se sono interessati a condividere un percorso di orientamento professionale 2) Osservare le aree di criticità organizzativa interna, in particolare nel match tra competenze e posizioni organizzative 3) Contattare esperti riconosciuti e certificati per avviare un processo proficuo, positivo e efficace di orientamento professionale. Mi permetto in chiusura di citare una parte di un articolo di qualche tempo fa[6], dove, con una metafora, sono rappresentati i tratti positivi proprio del fare orientamento nelle organizzazioni: |
“Scoiattoli, ippopotami, maiali, cavalli…è abbastanza evidente che se c’è bisogno di qualcuno in grado di salire su di un albero, si potrebbe anche addestrare un ippopotamo ad arrampicarsi. Però sarebbe meglio scegliere uno scoiattolo. Un altro stimolante punto di vista è espresso da un personaggio del romanzo “La Valle dell’Eden” di John Steinbeck: “- … da un maiale non può venire fuori un cavallo da corsa. – no – disse Samuel – ma se ne può fare un porco che corra molto alla svelta.”:
a. sono immagini che portano alla mente con immediatezza ciò che le organizzazioni spesso chiedono ad un intervento di assessment formativo: individuare i “purosangue” (o high-flyiers, high-potential, key-talent, e via etichettando) oppure trovare il modo di valorizzare al meglio le risorse esistenti, richiesta particolarmente importante nel nostro paese dove un contesto normativo rigido pone limiti al ricambio di risorse e la congiuntura economica sfavorevole limita ulteriormente il “turnover” fisiologico dell’azienda b. per continuare nella metafora, raramente in un intervento di selezione/formazione ci troviamo di fronte ad una platea composta di soli scoiattoli o ippopotami. Le realtà umane compongono un “bestiario” assai variegato di fronte al quale il professionista deve di solito districarsi con un set predefinito e abbastanza standardizzato di strumenti per fornirgli la risposta o le risposte che cerca, rispetto alla selezione del profilo o dei profili migliori. In un intervento di assessment formativo, ci si trova spesso di fronte al fatto che le esperienze personali, le conoscenze, le attitudini, le credenze, formano combinazioni uniche per ciascun individuo.”
Ed in conclusione, le organizzazioni, per non privarsi di opportunità importanti di crescita e di sviluppo sul mercato, dovrebbe far tesoro e orientarsi in base al pensiero del grande e curioso scienziato:
“Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo.” |
- Posted by yourhr
- On 7 Gennaio 2019
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